Maternità e paternità in Ateneo
Come specificato nel D.Lgs. 81/08, in tutte le aziende con almeno un lavoratore il datore di lavoro è tenuto ad effettuare una valutazione dei rischi per le lavoratrici in gravidanza, al fine di valutare le eventuali situazioni pericolose e le misure da attuare sia per le lavoratrici in forza all’azienda che nel caso dovessero essere assunte delle donne in un secondo momento.
Le lavoratrici, una volta accertato lo stato di gravidanza, hanno l’obbligo di comunicarlo tempestivamente al datore di lavoro.
Il datore di lavoro, unitamente al RSPP, al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza e al medico competente, valuta:
- le diverse mansioni previste
- l’esposizione a tutti i rischi potenziali
- la presenza o meno dei rischi associati alla gravidanza
- le caratteristiche strutturali delle diverse zone di lavoro e i rischi correlati
- le adeguate misure di protezione e prevenzione
Nella valutazione, inoltre, sono considerate le situazioni di rischio associate non solo al periodo della gravidanza ma anche al puerperio e all’allattamento.
Si riportano lavori e attività particolarmente a rischio, che non possono essere svolte dalle donne in gravidanza. L’articolo 7 del D.Lgs. 151/2001, infatti, prevede il divieto di “adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri“.
In questo senso, tra i più comuni lavori a rischio nel periodo della gravidanza vi sono:
- lavori che espongono a rischi ergonomici (movimentazione manuale di carichi, trasporto e sollevamento di pesi, sovraccarico biomeccanico degli arti superiori)
- attività in postura eretta prolungata (per oltre metà dell’orario lavorativo)
- lavori su scale, impalcature e pedane
- lavori a bordo di mezzi di trasporto (muletti, aerei, autobus, ecc.)
- lavori che espongono a rischi fisici (vibrazioni, rumore, radiazioni ottiche artificiali, ecc.)
- lavori in orario notturno
- lavori svolti a temperature molto alte o molto basse
- lavori in quota o in spazi confinati
- lavori che espongono a rischio biologico, chimico o cancerogeno
- lavori che espongono al rischio stress lavoro correlato
- ecc.
Dove possibile, il datore di lavoro potrà adibire la lavoratrice ad altra mansione compatibile, per il periodo in cui è previsto il divieto, in modo da evitare l’esposizione al rischio o variando l’orario, le condizioni o il luogo di lavoro. Le norme vigenti, inoltre, stabiliscono che, anche qualora le fossero affidate mansioni inferiori a quelle abituali, la lavoratrice “conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originale“.
In generale, per le attività in cui il periodo di astensione dal lavoro non è già definito per legge, è importante consultare il medico competente o il medico specialista che segue la lavoratrice in gravidanza.
Nel caso di lavori vietati in periodo di gravidanza, il datore di lavoro considera di:
- assegnare alla lavoratrice un’altra mansione compatibile, che non la esponga a rischi
- modificare le condizioni di lavoro, l’orario o il luogo lavorativo, sempre nell’ottica di evitare l’esposizione ai rischi
- qualora non fosse possibile, procedere con l’invio della richiesta di interdizione anticipata agli Enti competenti
Il congedo di maternità per le lavoratrici va di regola dai due mesi antecedenti ai tre mesi successivi alla data del parto. Su richiesta della lavoratrice e previo consenso del ginecologo curante e visita medica straordinaria da parte del medico competente, però, il congedo si può posticipare fino a coprire i cinque mesi successivi al parto.